IL SOGNO DI IMIZAEL
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JENNIFER DURDEN



A fine inverno Igor ha deciso di provare la nuova ambientazione del Mondo di Tenebra, così ha acquistato il manuale e abbiamo cominciato a giocare qualche sessione di prova io e lui insieme, lui nei panni del narratore e io nei panni della giocatrice, per sperimentare se il sistema di gioco e l’ambientazione stessa ci piacessero abbastanza da coinvolgere altre persone e creare un party completo!
E’ così nata Jennifer Durden, detta Jeni, il mio personaggio, una normalissima umana senza alcuna cognizione, esperienza nè conoscenza del sovrannaturale che esiste nel mondo!

Abbiamo giocato solamente tre sessioni, ma sono state GRANDI! Igor è un narratore bravissimo, ha ricreato un'atmosfera tenebrosa, inquietante, horror, mi ha fatta interagire con png aggiaccianti e mi ha calata in situazioni spaventose di tensione e al limite del sovrannaturale! E vi assicuro che avere a che fare con fatti talmente strani e inquietanti è molto coinvolgente quando interpreti una normale persona comune che potresti essere tu stessa! ;)

L'ultima sessione ha visto una svolta decisiva per la mia Jeni, perchè Igor ha inserito nell'avventura il nuovo manuale che ha comprato, WEREWOLF THE FORSAKEN, e Jeni ha fatto la propria prima muta, scoprendo di esssere un Licantropo!

Cercherò in questa pagina di descrivere al meglio l'avventura di Jeni tramite il suo stesso racconto dell'accaduto...!


PRELUDIO

Sono una normalissima, giovane donna americana, vivo da tutta la vita nella Città Senza Nome, e sono sposata da qualche anno con Mike, il mio Mike.. mio marito è medico, primario di uno degli ospedali qui in Città, e io invece, che sono appassionata di antichità in ogni loro forma, ho un negozietto di libri antichi in cui lavoro molto volentieri, un’attività piccola e forse non molto importante ma che mi dà molte soddisfazioni. La mia specializzazione e la mia passione sono i libri sull’occulto, quei libri un po’ spaventosi che ti dicono che in questo mondo non siamo soli ma ci sono creature sovrannaturali che convivono con noi. Non ci credo molto, ma lo trovo affascinante!
Un altro interesse della mia vita sono le arti marziali! Pratico Kung-Fu da quando ero piccola, e sono piuttosto brava ormai.

Viviamo qui alla Città Senza Nome da tutta la vita, ma ultimamente la città sembra diversa.. è come se nel buio ci fosse sempre qualcosa in attesa, qualcosa di misterioso che mi segue.. i lampioni non illuminano mai bene i marciapiedi, le case abbandonate sembrano lamentarsi nelle tenebre.. ma forse è solo una mia impressione.
Da un mese a questa parte sono agitata e nervosa. Mike è cambiato, non è più se stesso! E’ sempre distratto, assente, non parla e non mi sta vicino come una volta. Ho paura che abbia problemi in ospedale, ma quando gli chiedo come sta non mi risponde, cambia argomento, è evasivo. Spesso non torna a casa per mangiare.. Io trascorro sempre più tempo in negozio, stare con i miei libri e i miei clienti mi consola e mi distrae.

Tutto è cominciato una sera piovosa.. già molti segnali mi indicavano che quello era uno dei classici giorni in cui sarebbe stato meglio restare a dormire.. Ma io ero in negozio. In inverno, verso le sei di sera, alla città senza nome è già molto buio.. soprattutto se c’è un temporale e la luce va e viene. Quella sera ricevetti un pacco che aspettavo da tempo, un libro piuttosto curioso che tratta di ritrovamenti di resti di creature che tutto sono meno che umane. Cominciai a sfogliare alcune pagine, ma l’atmosfera della serata e i contenuti di alcune immagini mi fecero presto desistere. Senza contare lo stranissimo blackout che prese solamente il mio negozio e i lampioni di fronte ad esso..
Comunque, a farla breve, giunse l’ora di chiusura e io me ne tornai a casa, sperando di trovare Mike. Sul vialetto di casa però, accadde il secondo fatto inquietante della serata. C’era un cane, un grossissimo cane. Era nero come la notte e molto simile ad un lupo. Ma la cosa più strana erano gli occhi, che riflettevano una luce rossastra molto sinistra, paurosa. Mi preparai ad un assalto, perchè di cani randagi aggressivi ce ne sono parecchi.. cominciai ad avvicinarmi e il cane prese a ringhiare minaccioso, al che per fortuna l’intervento di uno dei miei vicini alla finestra sbloccò la situazione: la bestia infatti decise di andarsene. Mi rifugiai in casa. Mike come al solito non c’era. C’era solo un biglietto: cenerò fuori, torno tardi.
Decisi che la mia serata doveva essere all’insegna dell’allegria e del relax, perciò mi mangiai una pizza davanti alla tv.

Erano ormai le 11 passate quando mi ricordai di guardare la posta.
In mezzo alle altre lettere c’era un biglietto, un biglietto scritto frettolosamente a mano da una persona di cui non sentivo da molto molto tempo. La mia amica Karol Dinner.
La lettera mi preoccupò moltissimo, soprattutto l’accenno agli altri messaggi che Karol aveva provato a mandarmi ma che evidentemente non mi erano arrivati. L’ultima volta che ci eravamo sentite lei partiva per New York con il nuovo marito, poco dopo al matrimonio! Nemmeno sapevo che fosse in città.
Decisi di andare subito all’appuntamento, così infilai le scarpe da ginnastica e uscii di casa, lasciando un biglietto per Mike.
Fuori da casa c’era di nuovo il cane.
Mi bloccai, per un attimo paralizzata dalla paura. Sembrava proprio un lupo, e i suoi occhi erano rossi. Stavolta non c’era nessun vicino alla finestra, per aiutarmi. Decisi di dimostrargli la mia superiorità, di non fargli sentire la paura, così avanzai pronta ad affrontarlo. Lui mi corse incontro ringhiando, e a poca distanza da me si fermò e corse via. Ancora spaventata mi rifugiai in macchina, prendendo un appunto mentale di avvisare del cane randagio che circolava nel quartiere.
Guidai fino alla casa segnata sull’indirizzo. Un quartiere tranquillo, tutte le case buie con le luci spente, case a schiera con giardino davanti, molto tipico. Anche la casa del biglietto era silenziosa e buia.
Suonai a lungo al campanello, e dopo un’inutile attesa decisi di andarmene. Proprio allora si aprì la porta. Dentro c’era una festa, una di quelle feste stile scatenato con un mucchio di gente che beve e si droga e la musica a palla e casino e schifezza. Mi toccò entrare, e accettai –stupidamente- anche un drink. Da fuori non si sentiva il minimo rumore perchè evidentemente la casa era insonorizzata. Cercai la mia amica Karol per un po’, ma senza ottenere nulla se non qualche commento sul fatto che probabilmente non era ancora arrivata.
Dopo ore di attesa mi ruppi le scatole e decisi di andarmene. Era l’una passata, ero stanca, quell’accidente di drink era stato troppo forte. E di Karol nemmeno una traccia. Cercai di uscire, ma la porta era chiusa a chiave. Mi dissero che la padrona di casa era di sopra con un uomo, e che lei chiudeva sempre la porta per via delle irruzioni della polizia.
Da non crederci, chiusa dentro con quei pazzi.
Andai al piano di sopra per prendermi le chiavi, qualunque cosa facesse la padrona di casa. E qui la serata degenerò completamente. Ancora non so quello che è successo, o forse lo so ma non ci voglio credere.
Al piano di sopra la musica non si sentiva quasi più.. faceva freddo, come se ci fosse qualcosa di strano.
Davanti alla porta della stanza in cui qualcuno stava amoreggiando rumorosamente c’era una ragazzina, pallida e dall’aria triste, ranicchiata nel corridoio. Parlai con lei, le chiesi se sapeva dov’era la padrona di casa. La ragazzina disse che era lei, ma che la chiave ce l’aveva la ragazza dentro. Sembrava... strana.. arrabbiata, innaturale. Quando le ho chiesto perchè permetteva alla ragazza di fare queste feste in casa sua e di tenere le sue chiavi, le mi ha urlato con volto tremendo di lasciarla in pace e poi.. e poi…
Si è girata ed è corsa.. è corsa dentro il muro.. è sparita attraverso il muro.
I miei nervi hanno ceduto in quel momento.. devo essere stata drogata, vai a sapere cosa c’era in quel bicchiere. Ho vomitato, ho vomitato sino a svenire.

Al mio risveglio, il giorno dopo, una ragazza probabilmente strafatta mi stava succhiando il collo, pensa te. La mandai via, e corsi via da quel posto orrendo.. la porta sotto era aperta, e fuori era ormai mattino. Corsi in macchina e guidai fino all’ospedale. Mi feci fare delle analisi per sapere di non essermi presa chissà cosa, di stare bene. Mike era impegnato, non potei nemmeno parlargli.
Per distrarmi un po’ decisi di andare lo stesso a lavorare, e la giornata mi sembrò più bella quando giunsero i risultati delle analisi, che dimostravano che era tutto a posto.
A pranzo andai a casa.. Mike era lì, aveva addirittura apparecchiato tutto per noi.. ma come al solito era stanco, distante, lento e distratto. Non mi chiese nemmeno perchè non ero tornata a casa, così tentai di raccontagli ma scoprii che nemmeno lui aveva dormito a casa nostra. La cosa mi allarmò subito. Ecco io conosco molto bene Mike, e quando gli chiesi dove era stato la notte lui fece uno sguardo che mi spezzò il cuore. Nei suoi occhi passò una luce precisa, che conoscevo bene.. lo sguardo di quando mi guardava con desiderio ed eccitazione.
Seppi subito che era stato con una donna. Cercai di capire, di farlo parlare, ma ovviamente non ottenni nulla e litigammo.

Tornai in negozio con il cuore a pezzi, e come ultima goccia mi giunse una telefonata terribile. Era l’Ospedale Psichiatrico del Saint Elen’s, qualche miglia fuori città. Mi chiamavano perchè avevano ritrovato ed ospitato una ragazza, Karol. Sulla sua agendina, dissero, c’era segnato il mio nome, evidenziato e sottolineato più volte in maniera quasi isterica. Mi chiedevano di correre subito lì per gli accertamenti.
Saltai in macchina. Era già sera, perciò non avevo molto tempo. Ovviamente avvertii Mike, per quello che poteva valere.
Viaggiai mentre calava il buio in mezzo a lunghissimi filari di grano, campi sterminati e oscuri come quelli dei film. Per andare al Saint Elen’s bisogna poi inerpicarsi con la macchina su una strada tortuosa e strettissima che risale una collina, una strada in cui passa una macchina per volta.
Quando giunsi su, avrei voluto essere ovunque tranne che lì. L’edificio è lugubre, infestato delle urla dei folli e delle loro risate, oppure del loro terrore. Mi venne ad accogliere il Dott. Heterage, che tanto per restare in termini di stranezze è un uomo davvero inquietante, sembra folle lui stesso; disse che il Dott. Wilbrandt che aveva ritrovato Karol e che poteva darmi tutte le informazioni era andato via da poco. Strano: sull’unica strada per arrivare qui la sua macchina non era passata...
Heterage mi accompagnò alla cella di Karol, e mi guidò dentro.
Lo spettacolo era terribile.. lei sembrava provata da giorni e giorni di denutrizione. Era scheletrica, le mancavano dei denti.. e i suoi occhi… non ho mai visto una luce così.. provai a chiederle se aveva fame, e sembrò improvvisamente disgustata.. poi ci guardò come se ci vedesse la prima volta, mi guardò e si mise a ridere di me.
Dopo poco non ressi più e venimmo via.
Riuscii a cenare con il Dott. Heterage, e a carpirgli qualche informazione. Quella di Karol pareva una forma terminale di schizofrenia, chissà causata da cosa. Ma il peggio era che lei risultava nubile e residente nel Kentucky, e non sposata come io sapevo e residente in New York . Questo era molto, molto strano. Ma quel giorno non potevo fare altro, così venni via.

Il viaggio di ritorno si trasformò presto in un incubo. Mentre guidavo, scossa dagli avvenimenti degli ultimi giorni, tornando verso una casa dove forse avrei trovato un marito infedele, all’improvviso sbattei contro qualcosa. Investii qualcosa, una creatura nera che si rifugiò subito nei filari di grano. La macchina davanti era devastata, come se avessi investito un palo della luce o un muro!
Il motore era stato colpito con violenza tale da essere rotto e inutilizzabile. Ero bloccata in mezzo al nulla, nel buio, da sola. Il cellulare era inutilizzabile, non prendeva campo.
Ad un tratto udii un basso ringhio. Terrorizzata, mi rifugiai in macchina. I ringhi aumentarono, e cominciai a sentire delle unghie graffiare il retro dell’automobile. Restai in attesa di un attacco per chissà quanto, con la pistola in mano.
Ad un tratto, una luce! Una moto veniva verso di me, così uscii dall’auto sperando di poter chiedere aiuto. L’ironia della sorte volle che la persona su cui speravo tanto non fosse altri che un motociclista appartenente a una banda della città, un esaltato del ##### che non trovò di meglio da fare che tentare di violentarmi. Mi difesi, meno male che pratico kung-fu da anni ormai. Non volevo certo sparargli, nè ammazzarlo! Lui però estrasse un coltello e mi ferì più volte, così fui costretta ad usare le maniere forti. Gli feci saltar via il coltello rompendogli il polso, e il povero imbecille andò nel panico. Fuggì urlando nei filari di grano! Terrorizzata per la presenza della bestia di prima, tentai di inseguirlo per dirgli di fermarsi, ma presto dei rumori orribili mi fermarono. Ringhi, urla, rumori di morsi e di ossa spezzate, di carne dilaniata.. quello per me fu troppo.
Fuggii, decisa a correre sino allo sfinimento. Corsi a perdifiato, fino a cadere, e quando mi rialzai corsi ancora.
Corsi e camminai per tutta la notte, sino a tornare nella Città Senza Nome all’alba.

Quando giunsi in città ero stanca, ferita, spaventata e triste. Presi un taxi e mi feci portare al pronto soccorso. Mi feci medicare il taglio che quel teppista mi aveva fatto, e sporsi la denuncia di aggressione. Mandai anche un carro attrezzi a riprendermi la macchina, e poi mi feci portare a casa.
La trovai vuota, ovviamente, ma stanca com’ero non diedi nemmeno peso alla cosa e mi buttai sul letto, che era ancora caldo come se Mike ci avesse comunque dormito, la notte.
E appena mi stesi mi accorsi di qualcosa che non andava..
Sotto al materasso c’era qualcosa, come una scatola, una custodia rigida. Mi alza, vagamente inquietata, e sollevai il materasso per controllare: sotto non c’era niente. Era dentro! Scucii leggermente la federa, ed estrassi un piccolo astuccio rigido. All’interno, qualcosa tintinnava debolmente.
Ero terrorizzata. Non volevo aprirlo, ma il bisogno di sapere era troppo forte. Sollevai il coperchio, e dentro... dentro c’erano tanti piccoli oggetti bianchi, tanti dentini, piccoli denti di bambino.
Urlando, lasciai cadere la scatola e corsi al telefono. Chiamai la polizia, dissi loro che ero spaventata e che avevo paura che mio marito potesse essere pericoloso, e poi rimasi in attesa che la pattuglia più vicina venisse da me.
Nell’attesa, volli darmi una rinfrescata e una lavata, dovevo sembrare un’evasa di galera, perciò andai in bagno. La stanza però mandava uno strano odore, un odore dolciastro e nauseante, perciò quanto prima richiusi la porta, troppo spaventata per indagare oltre.

Vennero due polizziotti, dopo pochissimo tempo. Uno dei due era palesemente un veterano, molto professionale e gentile, di nome Smith. L’altro era un ragazzetto dalla lingua troppo lunga e molto chiacchierone, che venne spedito in tempo zero di fuori da Smith.
Parlai con lui, gli raccontai tutto: Mike che era stato strano tutto l’ultimo mese, le sue assenze notturne, le paure; gli mostrai la scatola con i denti, e lui andò in bagno a cercare, e trovò un piccolo altare rituale fatto di ossi di pollo! Un altare, da non crederci!
Non so perchè, ma gli raccontai anche della notte passata, dell’aggressione, delle belve che ringhiavano, tutto. Ero allo stremo.
Misero la casa sotto sigilli e la perquisirono da cima a fondo, io presi con me alcune cose e trascorsi la giornata a deporre in polizia. Scoprimmo che Mike non si era presentato al lavoro quel giorno, e la polizia lo dichiarò ricercato, forse armato e pericoloso, ma probabilmente già allontanatosi dalla città.
Trovarono chissà come un video, un filmato di una telecamera di vigilanza di uno scantinato, in cui mio marito e i suoi simpatici amici avevano fatto uno dei loro rituali. Fui costretta, per collaborare e identificare tutti, a vederlo. Con un distacco vicino alla follia, vidi Mike e i suoi amici che si incontravano lì sotto con una donna bellissima, vestita in cuoio rosso e lacci come una battona, e con lei compivano un lussurioso rituale di accoppiamento e di sangue al cospetto di un altare in ossa che era la copia fedele ma più grande dell’altarino che Mike aveva messo in bagno.
Riconobbi tutti gli uomini, diedi alla polizia i loro nomi e indirizzi, e poi me ne volli andare.
Per la notte, Smith mi prenotò una piccola camera di albergo, e a sera andai lì.
Ero davvero distrutta, disperata e spaesata. Per dormire presi dei calmanti, e il sonno venne.
Il giorno dopo vissi come in sogno, in coma.. Andai a riprendermi la mia macchina al carroziere, diedi una controllata in negozio che fosse tutto a posto, riposai.
Ebbi però anche un’ennesima brutta esperienza. Incontrai nuovamente il cane, quell’enorme lupo nero dagli occhi rossi, solo che questa volta lui non andò via. Mi caricò, mi corse incontro e mi morse una mano. Io tentai di fermarlo, lo colpii con violenza tale da fargli sanguinare la mascella, ma lui riuscì lo stesso a mordermi. Dopodichè, con ancora il muso sanguinante, mi guardò e fuggì via.
Andai al pronto soccorso, ovviamente, per i test contro la rabbia e per farmi disinfettare, e oltre al danno mi giunse anche la beffa. La bestia evidentemente aveva morso qualcun altro prima di me, perchè mi trovarono tracce di un altro sangue umano addosso e sulla ferita, e mi accusarono pure –ovviamente in maniera ufficiosa- di aver ammazzato qualcuno, o chissà cos’altro! Non credetter nemmeno alla mia storia del cane lupo... periodo fortunato.

A sera, mentre mangiavo una pizza, si presentò nella mia stanzetta di albergo l’agente Smith.
La visita mi incuriosì, anche perchè lui mi disse di avere delle notizie da darmi in maniera però non ufficiale. Aveva riconosciuto lo scantinato, aveva trovato il luogo, e sapeva che se io fossi andata la notte seguente a caccia in quello stesso seminterrato avrei potuto trovare la donna in rosso, e vendicarmi e scoprire tutto.
Smith faceva il misterioso, era come se volesse dirmi delle cose ma non potesse. Alla fine però, per aiutarmi, parlò. Disse che quei sospetti che io avevo sempre avuto erano veri, che c’è qualcosa nel buio delle ombre, che la nostra non è l’unica realtà. Che i mostri dei miei libri antichi sono veri. Vampiri, lupi mannari, mostri, fantasmi, tutto vero. Io ero stanca, stanca di menzogne, di non essere credute, di oscurità su di me e sugli altri. E non so perchè ma la versione di Smith era pericolosamente plausibile, metteva insieme molti tasselli.
Lui non mi volle dire chi era, ma capii che era un appartenente a questo secondo mondo, a questo mondo di tenebra. Mi indicava la via per colpire quella schifosa creatura che si era presa mio marito assoggettandolo al male perchè lei era anche sua nemica, e avevamo quindi un fronte comune.
Poi decise di aver detto abbastanza, e mi lasciò dicendomi questo: domani sera la luna sarà piena. Quando verrà, non opporti. Non fare resistenza, lascialo uscire!

Ero agitatissima, e non sapevo cosa pensare. La notte passò, il giorno venne, e tornò la sera. Salii in macchina, con la mia pistola carica e il cuore pieno della sete di vendetta.
Guidai sino alla strada indicatami da Smith, giunsi allo scantinato ed entrai. Era tutto buio, da una piccola finestrella che si affacciava sul marciapiede si vedeva solo la luna, il volto tondo e perfetto della luna piena, un volto amico che mi illuminava il percorso.
Mi nascosi nelle ombre del seminterrato, e attesi.
Finalmente sentii dei passi. I passi degli stivali di pelle a tacco alto di quella schifosa creatura preannunciavano il suo arrivo.
Appena entro nello scantinato, emersi dalle ombre con la pistola puntata alla sua testa. Non ricordo cosa le dissi, ma le dissi che era per mio marito, che lei doveva morire, o qualcosa del genere. E sparai.
E la presi.
La presi in pieno volto. Ma lei non morì.
La mia pallottola le portò via mezza faccia, ma lei si girò verso di me ridendo, mentre la carne le si richiudeva e il volto le si ricomoponeva.
Allora urlai e le scaricai tutto il caricatore addosso, sino a farla cadere a terra, fumante e sanguinante.
Ma non morì!
Si rialzò, e mentre l’ira la pervadeva e i tessuti lacerati si riformavano, mi colpì con tale violenza con i suoi artigli di vampiro da squarciarmi il petto completamente. Caddi per terra, mentre il martellare del mio stesso cuore era divenuto un rumore fortissimo, frenetico e rimbombante, più forte di cento e cento tamburi di guerra suonati insieme.
Dalla piccola finestra dello scantinato, la luna mi guardava. Ma non era più un volto benefico: era il volto irato della Luna Piena, una luna rosso sangue che urlava VENDETTA, COMBATTI, COMBATTI, VENDETTA!!!!
E io sentii che giungeva, e lo lasciai venire.

Mutai, il mio corpo in un impeto di furiosa ira e di sete di sangue e vittoria cambiò forma, crebbe, diventai gigantesca, e mentre gli squarci sul mio torace si richiudevano velocemente, artigli letali mi rendevano sempre più selvaggia sinchè anche zanne affilate completarono la mia muta. La vampira di fronte a me ora aveva gli occhi spalancati dal terrore e dall’incredulità, piccola patetica fragile creatura! Con due potenti artigliate, la ridussi in pezzi, e con gioia selvaggia la vidi morire e sciogliersi in cenere. E la Luna Piena trionfante mi sorrideva radiosa, e io l’inneggiai con un selvaggio ULULATO di vittoria!!! Avevo vinto!

Ho ucciso il mio nemico, vivendo la mia Prima Muta e rilasciando la mia natura latente di Uratha, e ora che sono anche io nel mondo a cacciare con i miei Fratelli, nulla mi può fermare.





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Creato e curato da Paola Traversa - imizael.bladesinger@gmail.com
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